Oggi abbiamo l’onore di intervistare Maria Letizia Compatangelo, giornalista, autrice, docente di drammaturgia e Presidente del del Cendic, il Centro Nazionale Drammaturgia Italiana Contemporanea.
Chi è Maria Letizia Compatangelo?
Maria Letiza Compatangelo, attualmente Presidente del Cendic, è drammaturga, saggista ed autrice di numerose commedie rappresentate in Italia e all’estero, pubblicate su riviste specializzate e raccolte nel volume Teatro dell’Inganno, pubblicato nel 2008 dalla casa editrice Bernard Entertainment@Art.
Ha vinto vari premi teatrali nazionali e per due volte il Premio I.D.I. (Istituto del Dramma Italiano), con le commedie ‘Trasformazioni’ e ‘Il Veliero e il Pesce Rosso’. La sua ultima commedia, La cena di Vermeer, ha vinto nel 2014 i due più prestigiosi concorsi nazionali di drammaturgia: il Premio SIAE e il Premio Vallecorsi.
Autrice e consulente scientifica di programmi culturali per la televisione, ha collaborato con Raiuno e Raidue. Per Rai Educational ha realizzato “Temposcena” e “SIPARIO – Momenti e figure della storia del teatro”, una storia del teatro attraverso più di 300 spettacoli televisivi di prosa. Ha scritto il volume edito da Rai Eri La maschera e il video. Tutto il teatro di prosa in televisione, dal 1954 al 1998.
Gradita ospite di TeatroDigitale, gli abbiamo fatto alcune domande per capire meglio qual è lo stato della drammaturgia in Italia e più in generale del Teatro, partendo dal presente per arrivare ad ipotizzare alcuni possibili scenari di sviluppo futuro.
Quale ruolo svolge il Cendic nell’ecosistema del Teatro Italiano?
Non credo che si possa parlare di ecosistema a proposito del Teatro Italiano. Perlomeno non un ecosistema armonico ed equilibrato. Per questo, quando come Centro Nazionale di Drammaturgia Italiana Contemporanrea – CENDIC abbiamo presentato il nostro Progetto Speciale all’ approvazione del Ministro, l’abbiamo chiamato “Ecosistema integrato di promozione della Drammaturgia Italiana Contemporanea”: un insieme di cinque progetti diversi ma complementari, che partono dalle esigenze reali degli autori. Esigenze che noi conosciamo bene, perché è quello che siamo.
La nuova, sospirata legge – dove purtroppo non si fa cenno alla figura dell’autore, nonostante le proposte del CENDIC – cerca di stabilire dei principi generali, ma quello attuale è ancora il panorama sbilanciato, se non tossico, di un “sistema teatro” incapace di accogliere e selezionare da una parte e offrire opportunità a tutti i talenti dall’altra. E infatti, il mercato di cui tanto si blatera e con il quale gli autori sarebbero ben lieti di misurarsi, se fosse reale, semplicemente non esiste.
Qual è stato il percorso che ha portato alla sua fondazione e gli obiettivi futuri?
Nel 2012 abbiamo dato vita al CENDIC per riempire un vuoto istituzionale, convinti della necessità di rivitalizzare il teatro italiano con il racconto del nostro presente. Dalla chiusura dell’IDI (1998) e dell’ETI (2011), siamo privi di un punto di riferimento istituzionale che promuova la drammaturgia nazionale in modo equanime, dando pari opportunità a tutti, e che al tempo stesso possa interloquire con Istituzioni analoghe esistenti in altri Paesi. Ce n’è talmente bisogno che in questi anni studiosi e teatranti stranieri si sono più volte rivolti al CENDIC – dal Messico, dalla Svizzera, dalla Repubblica Ceca, dall’Ucraina, Russia, etc – per ottenere notizie, copioni e riferimenti sulla drammaturgia italiana contemporanea.
Abbiamo tre direttrici fondamentali di azione: promozione della drammaturgia in Italia e all’estero, formazione del pubblico e formazione-promozione degli autori. Ma le iniziative sono tutte viste nella prospettiva del nostro scopo fondativo: come dire… lavoriamo al backstage ma non dimentichiamo mai di non essere né una compagnia, né un sindacato o il perché siamo nati: siamo un’associazione di autori con vocazione istituzionale (siamo 220 e continuiamo a crescere) e dunque il lavoro che compiamo – tutto su base volontaria – è finalizzato ad ottenere l’istituzione di un Centro e di un Teatro per la Drammaturgia Italiana Contemporanea. In sei anni abbiamo stilato protocolli di collaborazioni con molte importanti Istituzioni: il Comune di Roma e l’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale, che ci hanno assegnato una sede nel Villino Corsini di Villa Pamphilj, le Biblioteche di Roma, l’Accademia Silvio D’Amico, il Teatro di Roma, il Festival di Calatafimi Segesta, e nel 2017 il Ministro Franceschini ha approvato il nostro Progetto Speciale, altro importante passo avanti verso i nostri obiettivi statutari.
Cosa occorre per diventare Soci del CENDIC?
Non ci sono regole restrittive ed è molto semplice, basta andare sul nostro sito: www.centrodrammaturgia.it
Occorre solo essere drammaturghi, ovvero possedere almeno uno tra i seguenti requisiti: essere stati rappresentati da una compagnia professionale; aver vinto un Premio di drammaturgia nazionale; essere iscritti alla sezione DOR della SIAE; aver pubblicato un’opera in cartaceo. La quota sociale annua è di 20 euro.
Che tipo di supporto / vantaggi offre il Cendic agli autori teatrali?
Benché il nostro scopo sia istituzionale, credo che i supporti e i vantaggi dell’essere socio CENDIC siano notevoli: abbiamo iniziative rivolte a tutti gli autori (il Premio Cendic e Autori Expo), ma anche molte riservate solo ai Soci (Teatro in Provincia, Parola al Teatro, La Festa alle Donne, Masterclass, Seminari, etc.), compreso la promozione all’estero, con Made in Italy. Nel marzo 2017 è stata pubblicata in Messico un’antologia di 16 monologhi di soci Cendic tradotti in spagnolo: un evento più unico che raro per l’Italia.
Ma essere soci del CENDIC può dare molto di più: lo stare insieme rende più forti e stimola la creatività e la produttività.
Avere cariche sociali nel Cendic significa lavorare molto (sono “carichi”, più che “cariche”!) e lavorare per gli altri, ma chiunque non sia irrimediabilmente autoreferenziale vi trova un luogo – anche virtuale, perché siamo presenti in tutta Italia – dove si lavora insieme per costruire qualcosa, e lo scambio di esperienze rende più produttivi anche nella propria carriera. Dario Fo, nostro socio onorario con Franca Rame, Fernando Arrabal, Dacia Maraini, Franca Valeri, Paolo Rossi e Riccardo Caporossi lo aveva capito e ci sosteneva e incoraggiava.
Cosa vuol dire oggi scrivere per il Teatro?
Bella domanda… Credo significhi voler affrontare attraverso gli strumenti della rappresentazione, dello spettacolo – che vuol dire saper interagire con le altre figure artistiche che vi concorrono – l’eterno racconto che l’uomo fa a se stesso per sapere che esiste e la realtà della nostra società. Cercare di catturare lo spirito del tempo e ingaggiare con lo spettatore un duello – sia che si tratti di commedie, sia di drammi – fatto di emozione e riflessione.
Come vedi il presente e il futuro della Drammaturgia in Italia?
In divenire. C’è una grande confusione sotto il cielo… ma se la situazione sia o no eccellente, dipende dalla nostra capacità di cambiare le cose.
Le prospettive mi sembrano migliori, rispetto a venti anni fa, perché i drammaturghi italiani si stanno conquistando spazi e rispetto e speriamo che arrivi presto il tempo in cui la drammaturgia italiana sarà trattata come quelle degli altri Paesi, ovvero come una componente fondamentale dell’atto teatrale e non più come una petulante “figlia di un dio minore”.
In questi decenni i drammaturghi si sono battuti contro l’esterofilia imbecille a tutti i costi e questo ha senz’altro contribuito a creare una nuova sensibilità a riguardo: ora sono gli attori che cercano testi nuovi e i produttori cominciano a capire che una buona storia può contribuire a riportare il pubblico a teatro e a conquistarne di nuovo. Ma, ripeto, in assenza di un vero mercato, ci vorrà tempo per cambiare le vecchie abitudini di scelta, basate essenzialmente sugli scambi e sui nomi famosi.
Pensi sia possibile far convivere oggi Teatro, cultura digitale e innovazione?
Il Teatro è un’arte, noi teatranti siamo tutti degli artigiani che aspirano a fare arte. La cultura digitale è un nuovo scenario e l’innovazione uno strumento. Non vedo perché non possano convivere. Credo che anzi si possano creare sinergie e soluzioni interessanti, come la vetrina digitale Autori Expo, nata lo scorso 24 dicembre all’interno del Progetto Speciale CENDIC 2017, che è a disposizione di tutti i drammaturghi.
Ci parli del Premio Cendic, quali saranno le “direttive” della prossima edizione?
Il Premio Cendic manterrà certamente intatta la propria natura, quella di un premio unico, pensato dagli autori per gli autori, quindi fuori dalle logiche di clan, con l’anonimato dei partecipanti garantito dal notaio Borsellino D’Angelo, senza balzelli per sedicenti spese di segreteria e costose spedizioni di copioni. Con in palio la messinscena del testo vincitore e il debutto al Festival di Segesta, la garanzia di un’effettiva lettura da parte di giurati competenti, la pubblicazione di tutti i risultati e un’attenzione protratta nel tempo, con la Rassegna dedicata ai testi finalisti.
Ciò che stiamo valutando nel Consiglio CENDIC (che è composto da Angelo Longoni e Giuseppe Manfridi, vicepresidenti, Rosario Galli tesoriere, Enrico Bagnato, Duska Bisconti, Liliana Paganini, Alessandro Trigona e Guglielmo Masetti Zannini), con la giuria tecnica (Veronica Cruciani, Manuela Mandracchia, Carmelo Grassi, Marcantonio Lucidi, Domenico Pantano e Orazio Torrisi), il Centro Teatrale Meridionale e il Direttore del Festival di Calatafimi Segesta, Nicasio Anzelmo, è se dare anche alla prossima edizione un “tema” oppure no. Dipenderà dalla nostra possibilità di strutturare la giuria dei Soci, quella che seleziona i cinque finalisti, in modo da sostenere l’arrivo di un numero esorbitante di copioni. Perché ogni copione che arriva al Premio Cendic ha il diritto di essere – e lo è – letto effettivamente dai giurati.
Il vincitore di quest’anno è è stato Sergio Casesi, musicista e autore teatrale, con #An American Dream. Crede che in Italia ci sia ancora la possibilità di sognare?
Ovviamente il titolo di Sergio Casesi è provocatorio, ma lasciamo che sia la rappresentazione a svelare sorprese e colpi di scena di questo bel testo!
Se per sognare intende dire sperare, progettare, guardare avanti con fiducia, anche se in questo periodo a volte sembra difficile, sono convinta di sì.
Ma io sono una persona che crede che senza sogni l’essere umano non possa proprio sopravvivere, di qualsiasi genere essi siano.
Possono diventare anche molto pericolosi, certo… e in questo caso la letteratura, il racconto, il teatro aiutano, svolgendo una funzione sociale fondamentale, perché educano a distinguere i confini tra la vita vera e il sogno e a vivere nella realtà.
Spero che questa intervista ti sia piaciuta e ti abbia dato diversi spunti su cui riflettere. Se ti va raccontaci cosa ne pensi nei commenti qui sotto e mi raccomando, non dimenticare di condividerla sui tuoi canali social 🙂
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Tag: autori teatrali, drammaturgia, interviste, scrittura teatrale Filled Under: Intorno al teatro Posted on: 3 February 2018